Quale ruolo hanno nel nostro Paese gli incubatori, come lavorano, qual è l’ambito in cui operano le startup incubate, quali sono i possibili scenari per il futuro? Il report pubblico sugli incubatori/acceleratori italiani, redatto e reso disponibile dal Social Innovation Monitor (SIM) in collaborazione con il Politecnico di Torino e con altri research partner, tra cui Coopstartup, prova a offrire alcune risposte.
Un team di ricercatori e professionisti, uniti dalla passione e dall’interesse per l’innovazione e l’imprenditorialità a significativo impatto sociale, indaga quello che, a tutti gli effetti, è diventato ormai un ambito importante anche in Italia poiché le attività di incubazione e accelerazione d’impresa risultano essere sempre più fondamentali negli ecosistemi imprenditoriali su scala nazionale ma anche a livello locale, tanto che iniziano a istituirli anche gli atenei e sono diventati sempre più frequenti i programmi di corporale incubation per fare scouting di idee e startup.
Il report targato SMI intende offrire al grande pubblico una mappatura aggiornata del fenomeno sul territorio italiano, ovvero un’analisi dei modelli di business facendo emergere le differenze tra le diverse tipologie di incubatori per rintracciare gli elementi di efficacia nell’attività a supporto delle iniziative imprenditoriali. Il lavoro è stato operato su un campione del 40% della popolazione di incubatori in Italia (85 unità su 212) ai quali è stato chiesto di rispondere a un questionario tra ottobre e dicembre 2020 sui dati relativi al 2019.
Entrando nel dettaglio, il 2016 sembra essere l’anno più prolifico per la costituzione degli incubatori e più della metà sono stati costituiti a partire dal 2013. La presenza degli incubatori in Italia si sta via via consolidando: lo dimostra il +8% rispetto all’anno precedente con una distribuzione che si concentra principalmente nell’area settentrionale del Paese con la regione lombarda che la fa da padrone (26%) seguita da Emilia Romagna e Lazio. Solo una piccola parte (16%) risulta gestita esclusivamente da amministrazioni o enti pubblici. Le stime indicano un mercato di 373 mln € per l’anno 2019 con una leggera flessione rispetto al 2018 e la media dei fatturati della popolazione complessiva degli incubatori italiani si attesta su 1,76 mln €.
In leggero aumento è il numero medio di richieste di incubazione pervenute, anche per via della crescita del numero di team imprenditoriali ed organizzazioni in Italia che, relativamente ai servizi da erogare, pare abbiano una preferenza nell’offrire supporto allo sviluppo di relazioni, accompagnamento manageriale e supporto nella ricerca di finanziamenti ad imprese che sono prevalentemente for-profit. Esiste però anche un perimetro entro il quale si ritrovano imprese ibride (imprese che pur essendo for-profit hanno obiettivi anche sociali) e imprese assolutamente no profit, nella quota del 50% del portafoglio: si tratta dei social incubator e dei Mixed incubator, tipologie di incubatori definita sulla base della quota di organizzazioni incubate di impatto sociale rispetto al totale.
Emerge una predisposizione di 1/3 degli incubatori a acquisire quote societarie nelle società gestite, di cui oltre il 50% ha dichiarato di partecipare nei soggetti assistiti attraverso investimenti di capitale di rischio o offrendo in cambio prestazioni e servizi (work for equity).
All’interno della ricerca c’è anche un piccolo passaggio sul sistema delle entrate/uscite: tra le voci di costo principali per gli incubatori ci sono quelle relative alla gestione della struttura e servizi generici e ai servizi di accompagnamento imprenditoriale e tecnici, come ad esempio assistenza legale, amministrativa o contabile. Di contro, i ricavi dipendono in larga misura dai servizi erogati ai team imprenditoriali e alle organizzazioni supportate e da sussidi e bandi nazionali e internazionali. Solo il 2% da donazioni.
Se si parla di impresa a significativo impatto sociale, cioè un’organizzazione capace di introdurre realmente un’innovazione sociale come quelle definite Società Benefit (S.B.) e le Startup Innovative a Vocazione Sociale (SIaVS), i settori più rappresentativi sono quelli relativi alla protezione dell’ambiente e degli animali, della salute e del benessere. Va detto che le startup incubate hanno offerto lavoro a oltre 6000 dipendenti con un fatturato totale di 500 mln €.
In seconda battuta, la ricerca si concentra su un campione di secondo livello (31 unità delle 85 del campione originario), quelle che hanno voluto condividere gli elenchi dei team imprenditoriali e delle organizzazioni incubate. Anche in questo caso, emerge una presenza massiccia (80%) di startup incubate nell’area settentrionale del Paese ma si registra anche un leggero incremento nel Sud (passano da 6,5% al 9%).
Dal 2014 al 2018 si evidenzia una crescita costante del trend relativo alle startup. I dati interessanti che emergono riguardano la scelta della forma societaria (l’80% ha sceglie di definirsi come srl); il numero di dipendenti inferiore a 5 unità per l’86% di esse, la tipologia di settore in cui operano (il 40% eroga servizi di informazione e comunicazione) e il fatturato: per il 42% non si superano i 25.000 €.
Le informazioni più dettagliate e tutti i report sono disponibili sul sito socialinnovationmonitor.com
