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Le co-app, una sfida cooperativa

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L’apparente condivisione nel mondo digitale di alcuni valori sicuramente cooperativi come lo scambio tra pari rischia di trarre in inganno. “Quando abbiamo visto per la prima volta Air BnB o Uber o Deliveroo qualcuno tra noi le ha salutate come nuovi rami del nostro albero”. Ma se la transizione digitale prende da Rochdale alcuni principi restando anni luce lontana da altri, come la proprietà e la governance democratica delle piattaforme digitali o il ristorno, quel che ne nasce sono realtà che crescendo si rivelano il contrario della cooperazione. Sembrano cooperative, ma ne negano il DNA. La snaturano.

C’è un lavoro complesso da fare per avvicinare due mondi, la cooperazione e l’innovazione. Un doppio movimento, che coinvolge cooperative ‘storiche’ e startup, indispensabile per dare un futuro alle une come alle altre. Lo racconta Vanni Rinaldi, responsabile dell’ufficio Innovazione, ambiente ed energia di Legacoop e autore, tra l’altro, del libro “Dalle Coop alle Co-app” che – edito da Rubettino – racconta, appunto, rischi e prospettive di questo doppio movimento.

“Da una parte – spiega – ci sono le cooperative esistenti che si devono adeguare ai cambiamenti tecnologici, dall’altra ci sono quelle che nascono già dentro un modello che parte dalla tecnologia a cui dobbiamo portare i valori cooperativi. Riconoscere la necessità di questo incontro, come ha fatto l’ultimo Congresso di Legacoop, è fondamentale, ma è solo l’inizio di un lavoro complesso”.

Le cooperative storiche per vincere la sfida della digitalizzazione devono sicuramente mettere mano a investimenti tecnologici. “Occorre favorire – spiega Vanni Rinaldi – strumenti di finanziamento e promozione di alcune tecnologie, dall’intelligenza artificiale alla robotica, dai big data alla cybersecurity. I campi di applicazione, anche nel perimetro attuale della cooperazione, sono numerosi: l’agricoltura di precisione, la mobilità sostenibile, l’efficientamento energetico ma anche la medicina personalizzata”. Tutte direzioni nelle quali chi vorrà avrà numerose occasioni per muoversi.

“Grazie alle scelte del Governo e soprattutto al Piano Next Generation EU – raconta Rinaldi – la transizione digitale potrà contare su numerose risorse. Proprio due settimane fa abbiamo firmato un accordo con l’ENEA che gestirà i 500 milioni di fondi pubblici con la Fondazione Enea Tech sul trasferimento tecnologico per avviare attività che permettano anche alle cooperative di cogliere questa opportunità”. Ma questi investimenti da soli non basteranno: serve un salto culturale e normativo.

“Alla base di tutta la transizione digitale – racconta Rinaldi – c’è la conoscenza e la profilazione degli utenti: l’acquisizione dei dati digitali costituisce un po’ la materia prima di questa nuova economia. Alla luce di questo dobbiamo chiederci cosa accade quando il socio fornisce dati alla sua cooperativa. Solitamente chi fornisce i dati, il cliente, è un terzo rispetto all’azienda che li gestisce, che non accede al profitto che quel dato contribuisce a generare. Nella cooperativa invece non è così: il socio che fornisce i dati alla cooperativa che li utilizza è anche il proprietario dell’impresa e il valore che si genera quindi è condiviso.  Servono però adeguamenti statutari da parte delle cooperative che, riconoscendo questa unicità, consentano di avere un riconoscimento di questa “mutualità digitale”.

Questa innovazione aprirebbe la porta a ulteriori evoluzioni. “Renderebbe ad esempio naturale – spiega Rinaldi – una semplificazione della privacy, che ammorbidisca le tutele perché il soggetto recita entrambi i ruoli in commedia, ovvero dà i propri dati ma ne ottiene anche un beneficio. Si potrebbe ipotizzare, ad esempio, che non sia più necessario concedere ad ogni passaggio il diritto di usarli introducendo semplicemente la possibilità di dire quando non si intende concedere più questa possibilità”. Ma l’evoluzione normativa riguarderebbe anche i principi fondamentali della cooperazione.

“Penso in particolare al sesto principio di Rochdale, alla cooperazione tra cooperative. Trasportare a questo livello la mutualità digitale porterebbe, infatti, alla creazione di un ecosistema digitale di dati condivisi, una sorta di internet cooperativa a cui potrebbe partecipare un miliardo di soci cooperatori nel mondo. Somiglia ad un’utopia, è vero, ma è necessario iniziare a non giocare solo in difesa ma ad accettare la sfida di un ripensamento globale. Dobbiamo aiutare le cooperative a ripensare sé stesse in modo diverso. È un grande progetto politico e associativo. Non è detto si arrivi al traguardo, ma avviare questo percorso sarebbe già un successo”.

E lo sarebbe perché le resistenze da vincere non sono poche. “Dobbiamo fare su questo piano quel che non siamo riusciti a fare nel passaggio precedente, quando non sempre abbiamo saputo disegnare un percorso che consentisse alle cooperative di crescere nella competizione finanziaria e di mercato e rimanere cooperative. Evitare che capiti anche nella transizione digitale spetta a noi”. E quel che sta succedendo nel mondo delle startup sta lì a dimostrarci che tutto ciò è possibile ed è, almeno in parte, già in atto.

“La trasformazione digitale è molto in sintonia con il modello cooperativo. Chi nasce da questo contesto naturalmente attinge ad alcuni valori come la collaborazione, ma spesso non fino ad arrivare alla governance democratica e alla mutualità. Nascono così degli ibridi, che sembrano cooperative e sono tutt’altro”. Ma per evitare questo rischio serve un grande lavoro, di approfondimento e studio innanzitutto, per rendere i valori di sempre capaci di parlare ad una realtà nuova.

Un obiettivo per il quale Rinaldi ha lavorato con la LUISS, in un progetto di ricerca sulla condivisione dei dati in forma cooperativa da cui è nato il Manifesto di Cooperative Commons  , e successivamente con il gruppo sull’Economia digitale cooperativa guidato da Trebor Sholz sul “platform cooperativism”. “Ci sono molti esempi di co-app, queste realtà nuove, che possono aiutarci a camminare lungo questa strada” racconta. Quelle affermate, cresciute fino a dimensioni significative, ma senza snaturarsi, sono quasi solo fuori dai confini nazionali.

“In Svizzera – racconta Rinaldi – c’è la cooperativa MI DATA che gestisce i dati sanitari, mettendo a disposizione informazioni che possono accelerare tantissimo la ricerca all’interno di uno scambio equo, mutualistico e democratico, senza asimmetrie. Una realtà impegnata in queste settimane anche nella ricerca sul Covid-19”.

Oltreoceano, invece, è cresciuta una realtà che fa respirare il sapere contadino grazie all’intelligenza artificiale: è una cooperativa tra imprese che fanno agricoltura di precisione scambiandosi informazioni sui suoli, il meteo e tutto ciò che serve, senza rischiare che questo sapere finisca nelle mani di un’impresa privata che lo utilizzerebbe per erogare servizi ma tenendolo rigidamente per sé, per ricavare un profitto da questo monopolio.

Per far sì che le co-app siano cooperative a pieno titolo e non finiscano ad essere cooperative spurie o peggio, occorre però innovare il modello. Non si tratta di ‘riportarle a casa’ ma di costruire, con i mattoni di sempre, una casa nuova. Un compito che coinvolge tutti, in qualsiasi ruolo ci troviamo a giocare questa partita.

L'autore

Stefano Vezzani