Esiste ancora un gap tra domanda e offerta, quando parliamo di propensione alla ricerca di finanziamenti da parte delle imprese e di modelli di equity crowdfunding per supportare la crescita dimensionale delle realtà imprenditoriali.
È quanto emerge da una ricerca empirica realizzata in sede universitaria, presso La Sapienza di Roma, che indaga sull’attuale condizione del mercato, sul ruolo delle campagne nelle strategie di business, sugli ostacoli e sui vantaggi riscontrati e restituisce una fotografia preziosa per intercettare le tendenze ma soprattutto utile a immaginare un necessario irrobustimento della cultura finanziaria nel nostro Paese.
È evidente che, dinanzi a logiche di mercato mutate rapidamente rispetto al recente passato, il sistema produttivo italiano sconta delle criticità strutturali come un approccio ancora troppo basato sulla gestione familiare e una dipendenza dal sistema bancario che ha come diretta conseguenza una scarsa propensione all’apertura a investitori alternativi e un’esposizione al debito che in molti casi influenza in maniera negativa il rating bancario e stimola una preferenza per i profitti nel breve periodo e non per ragionamenti di più ampio respiro.
Elementi che, naturalmente, rappresentano un freno all’apertura nei confronti di altre fonti di capitali da considerare nel percorso di sviluppo aziendale.
Nello specifico, la ricerca ha considerato dati secondari recuperati da testate specialistiche di settore e ha effettuato una analisi di tipo qualitativo su un campione di 23 imprese finanziate con successo, evidenziando come inizialmente (triennio 2014-2016) la partenza sia stata lenta e in salita a causa di una diffusa diffidenza negli strumenti, di una scarsa cultura tecnologica ma anche di limiti normativi e di assenza di piattaforme rappresentative di tutti gli ambiti (esistevano solo per startup innovative). Fortunatamente questo quadro è stato via via superato dalla successiva adozione di una regolamentazione specifica e dall’arrivo di nuovi player che hanno permesso l’ascesa dell’equity crowdfunding, se consideriamo che ad oggi la raccolta è andata oltre i 250 milioni di euro.
Siamo però ancora lontani dal traguardo al quale potremmo giungere se fosse sfruttata a pieno la sua dimensione orizzontale e democratica, cioè la partecipazione realmente ampia di investitori: oggi sono ancora pochi e con profili comunque predisposti alla cultura finanziaria, poiché connotati da esperienze precedenti, come si evince dalle cifre sugli importi medi investiti per campagna e dal numero di investitori.
Ciò che lascia ben sperare è la traccia di una volontà emergente di scommettere su imprese ritenute in possesso del potenziale di crescita e di affermazione sui mercati, al di là della loro storia: viene data importanza a elementi quali la capacità di valorizzare il capitale umano, la trasparenza estesa a tutte le fasi aziendali con ricadute positive in termini di vero “legame sociale” tra il “socio aggiunto” e il progetto imprenditoriale attraverso il quale si realizza un vero coinvolgimento nelle scelte strategiche di business.
Una caratteristica molto importante che segna la differenza epocale tra un vecchio e un nuovo approccio. Le aziende iniziano a comprendere le opportunità di aprirsi a nuovi soci e di cercare modelli nuovi per irrobustirsi finanziariamente, soprattutto come leva per superare in fretta la crisi pandemica che il Paese attraversa e che impone di sfruttare circuiti e network di finanza alternativa.
Si può dunque aprire una fase nella quale dare avvio a un processo più moderno e maturo di internazionalizzazione delle imprese favorito dalle piattaforme ma anche da altri strumenti che ruotano intorno alla tecnologia, all’innovazione e all’opportunità offerte dalla rete.
È importante, però, che tutti i soggetti coinvolti facciano sforzi maggiori nella direzione di una diffusione della cultura degli strumenti finanziari. Lato domanda e lato offerta.
* Fonte: formiche.net
