L’approccio che possiamo vedere oggi nella soluzione dei problemi, ovvero nel miglioramento della nostra vita, sembrerebbe distinto tra chi propone soluzioni dirette e verticali – spesso semplici o semplicistiche come fossero la guarigione da tutti i mali – e chi invece analizza la realtà conscio della sua complessità, ritenendola non banale da gestire, rivolvere, migliorare.
Ma come viene vista l’innovazione?
Come la riforma fiscale dell’Irpef? Come contributi a fondo perduto a pioggia oppure come abbassamento del cuneo fiscale sul lavoro? Oppure ancora come misura simile a vari redditi di inclusione o cittadinanza?
Ovviamente non parlo nel merito, ma di come queste misure possano agire in un sistema.
La mia impressione euristica è che chi non conosce l’innovazione la associa solamente ad un contesto tecnologico e la vede come una misura “privata” o “governativa”, come una strada possibile come le altre, come una scelta quasi politica di adottarla o meno. L’innovazione, a mio parere, è un atteggiamento, una propensione, una attitudine in primis che può fare da cappello e leitmotiv di ogni misura autonoma, faro e mix delle scelte singole.
L’innovazione è, dunque, sicuramente una “materia mista” che non ha solo logica matematica, sociale, economica o tecnologica, ma è un trade off tra tutti i campi della vita di un uomo e tutte le aree di sviluppo di un’impresa: non sarà solo un contributo, una detassazione, un portale web, un nuovo gestionale, una campagna di comunicazione di livello ad essere e fare innovazione, come non lo sarà neanche un modulo di intelligenza artificiale o di realtà virtuale, ma lo sarà il mix tra tutti questi cambiamenti, spesso semplici e, a volte, senza alcun effetto migliorativo radicale, se presi singolarmente, ma la cui somma incrementale realizza qualcosa di effettivamente nuovo, innovativo appunto.
Dunque, la cultura che penso vada diffusa a livello imprenditoriale, e non solo, è quella cultura che vede l’innovazione non singolarmente come semplificazione, digitalizzazione, “tecnologicizzazione”, comunicazione, ma come un mix strategico in cui misurare e dosare “i pesi” di tutti i passaggi, le azioni, gli strumenti; nuovi come quelli digitali, ma anche “vecchi” come le risorse umane, la strategia, la ricerca fondi, le operation e l’organizzazione, la gestione della cassa ordinaria etc.
Purtroppo la nostra cultura “verticale” e a compartimenti stagni, a mio parere, derivante da una lunga storia di feudalesimo e campanilismo, si manifesta in una difficoltà nel connettere, unire pezzi, situazioni, persone, azioni, strumenti differenti.
Se l’innovazione la vediamo come una cosa a sé stante, la nostra impresa rimarrà come un tavolino con una gamba più corta e per risolvere il problema taglieremo l’una o l’altra gamba per riallineare, fino a che non avremo più un tavolino.
