L’indagine di Impresa Cultura Italia di Confcommercio presenta un quadro assai preoccupante sul settore culturale: dimezzati i consumi culturali nel 2020. Meno 47% per precisione.
Musei chiusi, teatri chiusi, festival chiusi, niente concerti. Notizie terribili che preoccupano tutti, non solo chi opera in questo settore e nelle filiere connesse.
Ma siamo veramente sicuri che questa sia l’unica chiave di lettura di quanto sta accadendo?
Esiste un’altra chiave di lettura che possa offrire l’occasione di sfruttare questa crisi per rilanciare il settore della cultura, dello spettacolo e non solo?
Ad oggi il consumo culturale è misurabile con il numero di ticket emessi. Eppure, i pubblici stanno cambiando le modalità di fruizione dei contenuti culturali. Se fino a pochi anni fa il consumo prevedeva un produttore e molti fruitori, adesso il paradigma sta cambiando. Oggi i fruitori sono allo stesso tempo produttori e co-creatori di contenuti. Il modello diventa così da molti verso molti.
Come in una rete neurale interconnessa, ognuno fruisce, recepisce, produce e amplifica la portata dei prodotti e contenuti rimodulandoli in canali e community di riferimento. E così il pubblico si trasforma e diventa un attivatore culturale a sua volta.
In questo senso sarebbe interessante aprire un dialogo comune per interrogarsi sul futuro delle filiere culturali prima e dopo la pandemia, cercando di raggiungere sempre maggiori tutele per i lavoratori del settore, ma allo stesso tempo di cogliere anche i cambiamenti della società per leggerli ed essere parti attive del mutamento.
Molte forme culturali che sono rimaste disponibili e, nonostante la pandemia, hanno visto la crescita dei consumi e della fruizione, fanno ancora fatica ad essere riconosciute dalle istituzioni come pezzi importanti dell’economia del futuro e come veri e propri prodotti culturali.
Da qui penso sia interessante partire ponendo alcuni quesiti.
Siamo proprio sicuri che le produzioni seriali trasmesse sulle piattaforme on-demand non siano cultura? E se il futuro del settore cinematografico fosse questo?
Siamo proprio certi che visitare un museo virtualmente con il supporto di un’app non sia cultura? Giocare con un buon videogioco non è cultura? Seguire approfondimenti e contenuti nuovi condivisi su Twitch non è cultura? Ad oggi, sempre maggiore importanza stanno assumendo le riflessioni attorno al settore del gaming e della gamification. Con gamification intendiamo l’applicazione di dinamiche di gioco in contesti non prettamente ludici.
Il videogioco, a sua volta, è un’opera multimediale interattiva che coinvolge tutti i sensi del fruitore chiamandolo sempre più ad esserne anche co-autore. È un prodotto culturale autoriale che richiede l’immersione in un mondo simulato e regolato da leggi tecniche (game design). Assumendo la forma di media, il videogioco può “raccontare” mondi diversi: dalla matematica per i bambini alla storia dell’arte, passando per i beni culturali e museali, la moda, il turismo, lo sport fino alla lotta alle tossicodipendenze.
L’industria dei videogiochi sta vivendo un momento particolarmente florido e di rapida crescita: nel 2020 il giro d’affari complessivo nel mondo è stato di 159,3 miliardi di dollari e solo in Italia il mercato ha raggiunto nel 2019 un fatturato di un miliardo e 787 milioni di euro, con una crescita del 7,3% in ambito software. Ad oggi il 43% degli italiani gioca con i videogiochi, ma uno sguardo attento in futuro andrà rivolto all’applicazione di questo medium nella nostra vita quotidiana in ambiti diversi dall’intrattenimento.
La forte spinta all’innovazione renderà infatti nei prossimi anni questa filiera non solo tra le più redditizie al mondo, ma anche tra quelle più pervasive grazie ai device che sono entrati a far parte della nostra quotidianità.
La storia ha insegnato che i professionisti legati al mondo dei videogiochi e del gioco sono stati i più importanti precursori di innovazione: grandi programmatori, dottorandi delle università americane, sociologi, ingegneri e visionari hanno mosso i primi passi proprio all’interno del mondo del gioco prima ancora che questa fosse una vera e propria industria.
Scienza, tecnologia, coding e gioco sono in stretta relazione fin dagli anni ‘50: la prima sperimentazione di gioco elettronico si è svolta nel 1951 all’interno della Exhibition of Science a South Kensington per dimostrare le potenzialità dei nuovi computer digitali, quando ancora l’idea che ognuno potesse possedere un proprio PC (Personal Computer appunto) era distante dall’immaginario.
Sarà poi Alexander Douglas, un dottorando dell’Università di Cambridge, a realizzare il primo gioco elettronico della storia. Il 1978 cambierà tutto grazie a Tomohiro Nishikado, tra i primi game designer al mondo che realizzerà il rivoluzionario Space Invaders. Il gioco avrà così successo che la zecca nipponica sarà costretta a stampare nuove monete a causa della netta diminuzione delle scorte dovuta all’utilizzo delle stesse nei cabinati posti nelle sale giochi giapponesi. Molte delle successive sperimentazioni sui computer nel rapporto uomo-macchina hanno a che vedere con la nascita di questo gioco.
Nel frattempo, un ancora giovane Steve Jobs insieme al suo collega Steve Wozniak (fonderanno insieme la Apple) avevano realizzato Breakout, un gioco per Atari già divenuta azienda leader nel mercato mondiale.
Il gioco e il videogioco possono dunque essere importanti “medium” non solo per il mondo della cultura ma anche per i brand, per le imprese, per il terzo settore e certamente anche per la cooperazione.
In questo senso va la scelta della Rete Doc di investire e aprire una nuova area aziendale, che ho il piacere di coordinare insieme a soci professionisti del settore, dedicata al mondo del gaming, della gamification e della transmedialità: Doc Games, Comics & Cartoons.
È proprio grazie all’esperienza dei nostri soci che vogliamo agire comunemente per offrire maggiori tutele e servizi ai lavoratori di queste filiere che possono trovare grandi vantaggi nel modello cooperativo.
Insieme, grazie alla Rete Doc, lavoriamo per costruire prodotti e servizi orientati a questi mercati sempre con grande curiosità, attenzione all’innovazione e provando a costruire relazioni e reti con chiunque desideri generare valore per il settore e i suoi lavoratori.
Il gaming, la gamification, la transmedialità e i nuovi media rapportati alle nuove tecnologie rappresentano l’innovazione e il futuro della cultura, e come tali sono destinati a ridefinire le filiere (anche le più tradizionali) e le modalità di consumo dei prodotti culturali. La cooperazione definirà anch’essa il futuro. Per questo è importante che questi due mondi dialoghino e sviluppino connessioni.
Questo è il motivo per cui la Rete Doc ha deciso di investire ed essere presente in questi settori.
Ripensare il futuro insieme, cooperando, sarà il gioco più bello che ci coinvolgerà tutti.