La prima che è partita si chiama Meraviglia. Il progetto di cooperativa di comunità a Vetralla ha ora sessanta giorni di tempo per raccogliere attraverso il crowdfunding 10mila euro. Entra così nel vivo la fase 2 del bando Coopstartup Rigeneriamo Comunità, lanciato da Coopfond e Legacoop per sostenere il decollo di nuove cooperative di comunità, uno strumento importante per valorizzare il capitale sociale dei luoghi e non abbandonarli al degrado.
Ma quali sono le esperienze più significative? Serve una legge nazionale? E come devono essere inquadrate queste cooperative? E la partecipazione reale delle comunità come può essere sostenuta? Ne hanno parlato insieme Paolo Scaramuccia, responsabile Promozione e servizi associativi di Legacoop Nazionale, e Jacopo Sforzi, ricercatore Euricse, autore del volume “Imprese di comunità. Innovazione istituzionale, partecipazione e sviluppo locale” edito da Il Mulino.
Oltre il ‘piccolo mondo antico’
“Durante il lockdown qualche archistar ha lanciato un appello per tornare a vivere nei borghi – ricorda Jacopo Sforzi – una provocazione romantica fatta da chi in quei posti non vive. Altrimenti si sarebbe dovuto chiedere se quei luoghi oggi sono – oltre a sembrare – davvero vivibili in termini di opportunità di lavoro e servizi a disposizione. O se, ad esempio, sono connessi, se da lì si può raggiungere il luogo di lavoro e ciò di cui ciascuno di noi ha bisogno per avere una buona qualità di vita”.
“Qualcosa di buono anche questa visione da ‘piccolo mondo antico’ – riprende Paolo Scaramuccia – potrebbe averlo avuto, se almeno per qualcuno ha contribuito ad evidenziare i problemi, nodi che vanno affrontati, a partire appunto dal digital divide. Le cooperative di comunità possono essere un ottimo strumento per affrontare questi problemi, un modello imprenditoriale democratico, inclusivo, sostenibile che guarda all’interesse generale e che non ha fini speculativi, l’unico modo per lavorare su territori che molti considerano privi di alcun interesse economico.
Esternalità positive, ma non solo
“Il 10-15% delle cooperative di comunità sono cooperative sociali, la maggior parte sono miste, utenza con produzione e lavoro. Ma per identificarle non c’è un unico tratto distintivo, serve un insieme di caratteristiche che ricorrono. Ne cito – elenca Paolo – quattro: la territorialità (sono qui e non potrebbero essere altrove), la partecipazione dei cittadini e la governance allargata, la multi-settorialità, spesso accompagnata dalla presenza di uno scambio mutualistico plurimo.
“A generare spesso confusione – secondo Jacopo Sforzi – è il riferimento all’interesse della comunità presente nella norma sull’impresa sociale e ribadito, tra l’altro, dal VII principio dell’Alleanza internazionale delle cooperative. Bisogna distinguere, invece, tra un’impresa nata per rispondere a un bisogno di una comunità e quella che genera, nel realizzare le sue attività e nella sua evoluzione, delle esternalità positive, che teoricamente possono fare tutte le imprese, anche una grande impresa che crea numerosi posti di lavoro e contribuisce alla nascita di nuove attività o servizi ad essa collegata, pur essendo nata per finalità diverse”
Una legge per uscire dall’informale
“L’assenza di una normativa specifica di riferimento – sottolinea Jacopo Sforzi – ha risvolti positivi e negativi al tempo stesso. Positivi, perché non “imbriglia” un fenomeno ancora in evoluzione. Negativi, perché rischia di complicare proprio le potenzialità evolutive di questo strumento. Nelle cooperative di lavoro, ad esempio, non è prevista la figura del socio volontario. E quindi una cooperativa di comunità che adotta questa forma giuridica cosa fa? O crea un’associazione ad hoc o è costretta a rimanere nell’informale, un terreno che, in alcuni casi, rischia di essere pericoloso in quanto potrebbe potenzialmente aprire le porte alla possibilità dello sfruttamento”.
“Prima del lockdown – racconta Paolo Scaramuccia – si era mosso qualcosa. Costruire un modello nuovo avrebbe richiesto il nulla osta dell’Unione Europea e tempi lunghi, per cui si è tentato di inserirsi nella nuova normativa parlando di “impresa sociale di comunità” e come Alleanza abbiamo presentato alcune proposte per rafforzare i principi di democrazia, porta aperta, territorialità. Speriamo di ripartire da lì. In assenza di una norma nazionale per ora hanno legiferato alcune Regioni, in modo anche molto difforme tra loro, in alcuni casi in modo efficace, in altri meno.
“Tra queste, ad esempio, la legge della Toscana – interviene Jacopo Sforzi – ha degli aspetti interessanti. Il bando che ha realizzato è andato molto bene. I progetti presentati hanno portato la Regione a triplicare le risorse a disposizione, da 400mila a 1,2 milioni di euro, ma soprattutto hanno suggerito alcune modifiche che sono state inserite nella legge stessa che da fine 2019 è stata allargata anche alle aree urbane e prevede qualcosa in più sul tema dell’accompagnamento, anche se ancora non abbastanza. Il punto che resta spesso dolente è il coinvolgimento reale della comunità”.
Dal bar alla vigna, ma non in assemblea
“In alcuni casi, come ad esempio a Lisbona – prosegue Jacopo Sforzi – l’informalità è una regola essenziale: per coinvolgere la comunità si può fare qualsiasi cosa ma senza formalizzare modalità rigide di partecipazione, in quel caso finisce tutto. E su questo stanno facendo un’esperienza interessante i ragazzi di Vivo d’Orcia (Siena), dove gli incontri li fanno al bar”.
“Sull’Appennino reggiano, a Succiso – si inserisce Paolo Scaramuccia – l’appuntamento per parlare della cooperativa, risolvere i problemi e farsi venire nuove idee per farla crescere è l’aperitivo della domenica al bar del paese. Le assemblee formalizzate in alcuni contesti sono uno strumento importante, ma rischiano di diventare un luogo “troppo ingessato” dove alla fine non emergono le proposte e i veri problemi o il palcoscenico dove le acredini personali trovano sfogo. È fondamentale trovare un giusto mix tra momenti formali e solenni e momenti informali di reale e concreta partecipazione. Un’altra esperienza positiva è quella di Tralci di Vite, in Campania, con la cooperativa nata dopo il coinvolgimento dei cittadini che è cresciuto con il lavoro insieme nei campi e al minimarket e i percorsi formativi affidati agli anziani del luogo che nelle vigne insegnano a potare”.
“Sul tema del coinvolgimento ci sono per fortuna anche esperienze particolari. A Perugia – ricorda Jacopo Sforzi – i ragazzi che hanno riaperto il cinema Postmodernissimo, oltre al crowdfunding, hanno utilizzato lo strumento dell’azionariato diffuso, riscontrando un successo che non si aspettavano. A questo, poi, hanno aggiunto l’Assemblea degli spettatori, che coinvolge anche non soci. Non hanno solo riaperto una sala, ma rigenerato un quartiere, con un’operazione di riqualificazione urbana e sociale”.
Allarghiamo le reti, intercettiamo il fermento
“Nei piccoli paesi le comunità si individuano da sole, in città servono diversi passaggi – pensa Paolo Scaramuccia – spesso è fondamentale individuare un luogo, uno spazio che la comunità riconosce come bene comune, un bene che rischia di sparire o che è percepito come una ferita e per il quale la comunità è disposta a mettersi in gioco, in quel momento la comunità si riconosce come tale.
“È una differenza che spesso – secondo Jacopo Sforzi – non è sempre così netta: la frammentazione sociale è arrivata anche nei borghi, al di là delle visioni romantiche di cui oggi si parla molto, il senso di comunità in alcuni casi va ricostruito anche lì. Quel che è certo è che anche nelle periferie urbane o nei centri storici a rischio degrado iniziano a realizzarsi esperienze interessanti”.
“Le dinamiche possono essere diverse. Il bando Coopstartup Rigeneriamo Comunità testimonia il fermento anche in città, con cinque progetti a Milano (2), Piacenza per riattivare negozi abbandonati, Roma, Campobasso per sostenere la filiera del pane. Ma penso anche alle esperienze a Bari, con l’esperienza della cooperativa Mest, che ha messo insieme artisti, artigiani e cittadini, dove potete assistere ad una piece teatrali dal barbiere o dove il marketing dei negozi è curato da artisti e designer.
C’è molto fermento, lo dimostra l’attenzione al nostro bando così come a quelli simili come Culturability. Ora sta a noi allargare le reti per intercettarlo, e il motivo per cui abbiamo coinvolto nel bando Coopstartup Rigeneriamo Comunità tantissimi partner, che condividono la nostra stessa visione di sviluppo sostenibile, partecipato e inclusivo.
