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Bossless. Meno capi, più democrazia…

Cooperazione  
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Qualche anno fa fece scalpore la storia della Valve Corporation, una società che progetta videogame fondata nei dintorni di Seattle da due sviluppatori informatici che avevano lasciato Microsoft.

La Valve aveva redatto un manuale introduttivo per i nuovi assunti nel quale si spiegava, tra le altre cose, come in ufficio si potesse decidere con chi lavorare, su cosa, per quanto tempo e in che modo. La valutazione dei colleghi era centrale e la mobilità era talmente apprezzata che il manuale mostrava in un disegno come spostare la propria scrivania, dotata di rotelle, per aggiungersi da un team a un altro.

Open innovation e dinamicità del team sicuramente. Ma c’è un concetto più appropriato per definire l’attitudine che sempre più imprese stanno adottando, è un termine inglese che spiega bene, in una parola composta, il principio organizzativo semplice che sta dietro ad una visione: bossless.

Meno capi, più democrazia, più partecipazione. Un’equazione il cui risultato è sempre “cooperazione”.

Si tratta di ragionare su un’organizzazione, un’impresa, un ecosistema a gerarchia variabile che restituisca una struttura capace di interpretare un’idea di lavoro (e di società – aggiungiamo noi).

Parliamoci chiaro, la cooperazione italiana rappresenta un’esperienza che ha a che fare con il mondo produttivo ma anche con la politica e la società. Perché i valori che stanno dietro, davanti e intorno al movimento cooperativo italiano e alle imprese che ne fanno parte, sono valori aziendali, culturali e sociali. Bossless dunque diventa un approccio utile per raccontare l’esperienza delle cooperative del nostro paese, piccole, medie e grandi, storie di gerarchie necessarie ma costruite su basi democratiche (una testa un voto) e partecipate, imprese che generano lavoro di qualità e che nascono per cambiare la società non per testimoniare che è possibile farlo.

Meno capi, più democrazia uguale più cooperazione dunque.

Nel contesto attuale, la cooperazione italiana, si confronta quotidianamente sul tema delle piattaforme cooperative, del digitale, di nuovi modelli di innovazione aperta che riescano a valorizzare il nostro modello d’impresa. E la ricerca, il confronto, la sperimentazione sono fondamentali per poter crescere ma è anche il momento della consapevolezza. Le cooperatrici e i cooperatori, soprattutto in questi tempi emergenziali, stanno dando prova di essere un punto di riferimento non solo per la resilienza ma anche per l’attualità del modello cooperativo che essi stessi incarnano.

Forse non abbiamo bisogno di nuove suggestioni anglofone ma se proprio dobbiamo utilizzarle sfruttiamole per raccontarci con l’orgoglio di chi sa che oggi la cooperazione è la soluzione. Anche se lo siamo da oltre un secolo e anche se parliamo in italiano.

L'autore

Redazione
Staff di Coopstartup