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Napoli laboratorio dell’alleanza tra startup e coop

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Da Il Sole 24 ore (04/12/2016)

Quando  un nuovo  ciclo  di sviluppo  si apre, il primo  elemento  che viene avanti è il primato  della tecnologia come vettore del cambiamento. È stato così anche nel caso delle startup, per le quali inizialmente ad essere centrale è stato soprattutto il rapporto tra saperi, tecnica e finanza, con l’obiettivo finale della mitica exit verso la Borsa più che di una crescita imprenditoriale ed occupazionale. Tuttavia anche il mondo  delle startup sta cambiando. Come ha scritto Luca De Biase su  Nova commentando  lo  Startup  Day  della Bocconi e il successivo  premio  Marzotto, è un  mondo  che progressivamente sta diventando  più  solido, arricchendosi di nuove caratteristiche e allargando  il proprio  campo  d’azione. In  Italia per un  certo  tempo  è sembrato  che la potenza della narrazione superasse l’effettivo potenziale di molte iniziative. Oggi i segnali di un  consolidamento sembrano  infittirsi: anzitutto  una quota non marginale dei progetti imprenditoriali sembrano  più  “pazienti” e orientati alla crescita. Il 17,1  % delle startup  è industriale, particolarmente nel settore della meccatronica o dell’automazione, con nuovi ambiti di investimento più orientati a lanciare prodotti oltre che servizi, con scommesse forse più rischiose ma anche più promettenti per un successivo consolidamento.

A Napoli, in Città della Scienza, il momento di valutazione delle startup cooperative organizzato da Coopfond, il Fondo di promozione finanziaria di Lega Coop che ha promosso l’evento e il percorso di accompagnamento “Progetto Coopstartup”, segnala tracce di un nuovo ciclo delle startup con al centro i temi del territorio e dello sviluppo sostenibile e il comparire, per quanto ancora in misura minoritaria, di nuove forme organizzative tra cui quella cooperativa. All’avvio del fenomeno alla fine degli anni ’90, con l’arrivo anche da noi della new economy, all’interno  del mondo  cooperativistico si era molto  discusso sul fatto  che proprio  le logiche cooperative potessero  essere più adatte ad  incanalare l’effervescenza imprenditiva soprattutto  dei più  giovani, senza che però  ciò  avvenisse in  modo  consistente. Oggi alcuni segnali ci dicono che anche la barriera tra cultura “startuppara” e mondo della tradizione cooperativa, forse si sta incrinando.

A Napoli, proprio  questi due mondi tradizionalmente indifferenti l’uno  all’altro, uno schiacciato sull’identità tecnologica e l’altro su quella sociale, si sono  parlati. Un  evento  dal significato  sociopolitico. Per tre motivi. Il primo  perché l’avvicinamento  del mondo cooperativistico all’innovazione d’impresa non avviene rincorrendo sul suo stesso terreno la logica della finanziarizzazione accelerata, ma provando a praticarne un proprio modello di incubazione, accompagnamento, sostegno finanziario. La scelta è così di favorire l’adozione di un  modello  organizzativo  e imprenditoriale paziente, che punta a durare e realizzare valori diversi dalla massimizzazione dell’utile economico nel breve periodo. Secondo, l’evento di Napoli è importante perché affronta di petto il problema di fondo, ovvero il mancato rapporto tra mondo della cooperazione e lavoro  cognitivo, nonostante che il lavoro della conoscenza organizzato per progetti, incorpori strutturalmente processi cooperativi sul piano professionale e di mercato. Tutte le 22 startup  cooperative presenti a Napoli incorporano competenze e figure terziarie provenienti dal mondo  della cultura, percorsi della cooperazione sociale classica, figure professionali tecnicoscientifiche. In modo  particolare la mission  diviene costitutivamente ibrida, intrecciando  obiettivi di nuovo  welfare, inclusione sociale, sostenibilità ambientale, turismo  culturale e delle esperienze, design, economie circolari e del riuso, tutela e valorizzazione del patrimonio territoriale. Una composizione che allude all’apertura consapevole di una fase in cui l’innovazione non è forma astratta o deterritorializzata ma esprime la ricerca di un nuovo radicamento sociale dell’economia nei territori. Un profilo  che cambia e in un  certo senso  mette in  discussione anche la stessa identità e forma organizzativa fino  ad  oggi prevalente nel mondo  cooperativo. La multifunzionalità intreccia i tradizionali confini addirittura tra cooperative di comunità e startup, tra cooperazione di consumo produttiva e sociale, mescolando  anche diverse logiche operative ed  organizzative profit e noprofit, mercato, reciprocità e produzione di beni pubblici.

L’identità di startup innestata sulla formacooperativa, trasforma l’organizzazione in una sorta di piattaforma la cui funzione principale è tenere in  equilibrio  i due temi dell’innovazione e dell’inclusione. Infine, c’è un  terzo  aspetto  che mi pare interessante sul piano  più propriamente sociopolitico. Nell’incontro  tra cultura cooperativa e startup  vedo  realizzarsi quell’incontro  tra comunità della cura e comunità operosa che rappresenta il vero passaggio in grado di garantire i poli spesso divergenti dell’innovazione e della coesione sociale.

A Napoli si è discusso sulla capacità di istituzioni intermedie storiche come le centrali cooperative, di fungere da incubatori di un rapporto nuovo  tra terzo  settore, innovazione tecnologica e una cittadinanza attiva diffusa che costituisce un  bacino  di competenze e imprenditorialità sociale fondamentale nel muovere i circuiti delle economie circolari emergenti. Tutto ciò significa mettere in discussione sia la visione solo alla “Silicon Valley” del fenomeno startup, sia la tradizionale identità della cooperazione come solo grande distribuzione o servizi di welfare. Al contrario le esperienze convenute a Napoli alludono  alla ripresa, in forme nuove, di quella che in fondo  è una antica radice del movimento  cooperativo, ovvero l’obiettivo di costruire forme dell’agire sociale ed  economico in grado di appropriarsi delle innovazioni tecnologiche e del progresso sociale a partire dai bisogni dei soggetti e dei territori.

Aldo Bonomi

bonomi@aaster.it